domenica 22 dicembre 2013

Ian Rankin - Corpi nella nebbia

Oh, John Rebus!
Quanto mi era mancato!
Ma ne è valsa la pena, ché lo so che Rankin non mi delude mai e infatti.
E' invecchiato, Rebus, è in pensione e cerca di limitare birra, single malt e sigarette mentre passa il tempo all'ufficio dei casi irrisolti e aspetta di poter, grazie all'innalzamento dell'età della pensione, rientrare a Gayfield Square, dove Siobhan sta facendo carriera e tutto si è modernizzato.
Rebus invece è sempre lo stesso Rebus, che stuzzica Big Ger Cafferty, che guarda diretto negli occhi le persone, fedele a Edimburgo e ai suoi pub, ai vecchi 33 giri e al suo modo di lavorare sollevando "un gran polverone, poi studiava l'effetto che faceva e verificava se nel frattempo era emerso qualcosa". Metodo avversato e antiquato, forse, ma che anche questa volta dà i suoi frutti, nelle lande desolate delle Highlands, dove John, seguendo una richiesta d'aiuto che si rivelerà tutt'altro, riesce a far riaprire vecchi casi di ragazze scomparse nel nulla apparentemente scollegati e invece con un unico colpevole.
E sulla scia di un'unica canzone.
Che poi è anche il fascino dei libri di Rankin: la colonna sonora, che avvolge
la storia a partire dal titolo: un peccato che per la versione italiana si sia scelto di ricorrere invece alla solita "nebbia", che non c'entra (quasi) niente, che smorza un pochino il filo conduttore del libro e che comincia a costrigermi, prima di comprare, a leggere tutta la trama per evitare di ritrovarmi tra le mani la delusione di un doppione.

Standing in Another Man's Grave
"Significa che avevo ragione su quella maledetta canzone"

domenica 8 dicembre 2013

Stephanie Barron - Jane e il mistero del Reverendo

Ammetto che ci sto prendendo gusto nell'iniziare una lettura storcendo il naso e ritrovarmi invece via via a ricredermi fino a terminarla con una certa soddisfazione, tanto più godibile proprio perchè inaspettata.
Suvvia: una ex collaboratrice della CIA che scrive un giallo con protagonista Jane Austen: non è incredibile e nello stesso tempo irresistibile?
Probabilmente avrei dovuto iniziare dal primo volume della serie ma sinceramente non sono stata a pensarci troppo - visto e preso - anche se è consigliabile recuperare l'introduzione al primo volume (Jane e la disgrazia di Lady Scargrave ) dove Barron spiega come è iniziato tutto, nella casa di famiglia a Baltimora di una coppia di suoi amici, imparentati alla lontana con la famiglia Austen, dove vengono alla luce i diari in cui la scrittrice racconta di come si sia ritrovata alle prese di alcuni misteri da lei poi brillantemente risolti; diari che vengono restaurati e affidati a Barron, che ne diventa la curatrice, per la sua competenza e il suo interesse per le "detective fiction".
Jane e il mistero del Reverendo è la seconda avventura di Jane che, in vacanza con i genitori per qualche mese, nell'autunno del 1804, a Lyme Regis, nel Dorset, si ritrova coinvolta in traffici di contrabbando, un'esecuzione, un omicidio, fughe rocambolesche dalla Francia napoleonica ormai quasi allo sbando e una fugace passione per l'affascinante Mr. Sidmouth, che non è Mr. Darcy ma che, come fuorilegge, può permettersi qualche mossa (appena) più azzardata.
Al di là della trama che può essere, sempre per via della protagonista, un po' destabilizzante (però ho riso di fronte all'immagine di Jane che, nascostasi in una grotta, colpisce con il calcio di una pistola un omone armato salvando la situazione) è un libro costruito su basi storiche e geografiche solide, accurato e attento ai piccoli dettagli e al linguaggio, che si affida alle lettere e alle poche notizie esistenti per coprire (congetturare?) le lacune sulla vita della grande scrittrice (di cui vorremmo, noi austeniane innamorate, sapere ogni minimo dettaglio).
La scrittura di Barron attinge, a partire dall'incipit, a piene mani dai libri che (sempre noi austeniane innamorate) adoriamo e celebriamo, le note con cui puntualizza aneddoti o situazioni pervadono la lettura di credibilità e, personalmente, ho sorriso estasiata di fronte alla descrizione del Cobb di Lyme Regis mentre nella mia testa scorreva la scena della caduta di Louisa Musgrove in Persuasione.
Insomma ho scoperto un libro di cui forse, come detto in qualche recensione, non si sentiva il bisogno ma che mi è piaciuto moltissimo: non vedo l'ora di avere tra le mani tutti gli altri e godermi di nuovo, per un po', la mia cara Miss Jane Austen.

domenica 1 dicembre 2013

Jared Diamond - Il mondo fino a ieri

Spesso e volentieri sembra strano che si possa considerare un libro di antropologia culturale (o in generale un libro di saggistica) come una lettura d'evasione e di divertimento, si storce il naso o si ricorre subito alla spocchiosa (per me, almeno) etichetta "divulgazione scientifica".
Il fatto è che Diamond ha il pregio, pur affrontando tematiche abbastanza complesse, di esporre in maniera piacevolissima e chiara, e ha l'abilità di porsi al momento giusto proprio la domanda a cui si stava pensando, rendendo quindi partecipe il lettore: con i suoi saggi si arriva all'ultima pagina sempre troppo in fretta (nonostante non si tratti quasi mai di librini sottili) ma ricchi di domande e abbozzi di risposte in più e guardando con occhi diversi le mille sfumature intorno a noi.
Sulla scia di Armi, acciaio e malattie (il primo libro dello studioso che mi ha fatto innamorare) ne Il mondo fino a ieri Diamond riprende gli studi sulle tribù e i gruppi tradizionali (i pochi rimasti) per porli questa volta a confronto con la nostra società moderna mettendo in luce sia i vantaggi di quest'ultima, che rimane il miglior risultato ottenuto dal progresso dell'uomo, sia alcuni modi di vivere e pensare di cui invece potremmo fare (o rifare) tesoro.
Ovviamente le società tradizionali devono affrontare bisogni e problemi differenti dai nostri, oltre che in relazione ad un gruppo ristretto di persone, quindi certe usanze possono davvero essere ben viste come atroci o sconvenienti, almeno finchè la voce pacata di Diamond non ci fa notare un altro punto di vista, ma altre fanno davvero riflettere, al di là della possibilità o meno di poterle concretamente utilizzare.
Per "distorsione professionale" ho adorato le pagine sullo Stato e sull' uso legittimo ed esclusivo della forza, che forse (forse!) sono anche le più noiose e intricate, ma le pagine davvero interessanti sono state quelle che affrontano il trattamento degli anziani e dei bambini, la paura, le malattie, la maternità; il quotidiano, insomma, i luoghi comuni su cui ci siamo magari solo soffermati con superficialità o magari per niente, come il pericolo di viaggiare in macchina contro quello di una centrale nucleare o l'evoluzione e le abitudini alimentari contro lo stile di vita.
L'edizione Einaudi vale al solito il prezzo pieno, se non altro per avere una scusa
per abusare, al posto della matita, di quei piccoli provocanti post-it.

mercoledì 20 novembre 2013

Marco Vichi - Il commissario Bordelli

In genere, riferendosi alle letture che esulano dai miei studi e dai miei interessi principali bollati come "mattoni", mi "accusano" di leggere e guardare solo "gialli".
Sarà.
E' che sono le mie letture e visioni d'evasione preferite, e a volte (in genere non ci bado) sono dispiaciuta che si guardi ancora al genere "giallo" come a un genere di serie B.
Era un po' che avevo intenzione di provare a leggere qualcosa di Marco Vichi e, come al solito, mi è venuto in aiuto un cesto di libri usati fuori da una nuova libreria che ho intenzione di tenere d'occhio.
Il simil-timbro "best thriller" in copertina per fortuna non mi ha depistato più di tanto, anche se certe scelte editoriali mi lasciano sempre un po' perplessa, e ho trovato il giallo (classico, commenta Augias, sempre in copertina, e con ragione) che mi aspettavo.
Il commissario Bordelli è una figura affascinante e tormentata, che si aggira nella Firenze dei primi anni '60, intrisa dei ricordi della guerra da cui l'Italia si sta ancora riprendendo, per risolvere l'omicidio di una vecchia signorina; e ci si affeziona subito, mentre lo si segue in una Firenze afosa d'agosto nella fermezza, oltre che di risolvere il delitto, di prendere per mano tutti personaggi che gli vengono incontro, umani e non, per rendere loro il posto che meritano, a prescindere dal margine d'illegalità, ma sempre rispettosa, o anticonformista in cui vivono, elevandoli sulla patina di benessere e rispettabilità di cui invece sono intrisi coloro che, alla fine, si rivelano essere i colpevoli.
E la scrittura di Vichi è pacata e tranquilla, senza fronzoli, e si prende il suo tempo: una lettura appagante e un autore da riprovare.

domenica 27 ottobre 2013

Joël Dicker - La verità sul caso Harry Quebert

La curiosità uccise il gatto, come si suol dire: in questo caso è rimasto stordito (per bene, eh!) ma poi si è ripreso.
Lo ammetto: come al solito ho storto il naso come si conviene alla mia supponenza di fronte a un bestseller in cima a tutte le classifiche e come al solito me lo sono ritrovata per le mani per caso, e visto il prezzo consono ad una copia usata ma praticamente intonsa e vista la mia ricerca senza esito in biblioteca ché comunque anche storcendo il naso son pur sempre 700 pagine che gridano "thriller", me lo sono portata a casa.
769 pagine, per essere precisi, metà delle quali fanno venir voglia di metterlo giù (e, confesso, ho anche saltato del tutto qualche bel pezzo), poi viene il dubbio che in realtà Dicker ci stia prendendo in giro, e poi si entra nella spirale del thriller classico e avvincente che porge l'assassino su un piatto d'argento ma ben celato grazie a qualche tranello in cui si cade con gran soddisfazione finale.
La verità sul caso Harry Quebert è in realtà il libro di Marcus Goldman, scrittore di successo bloccato davanti alla pagina bianca e con editori e agente letterario sul collo che ritrova la tanto cercata ispirazione geniale con il tentativo, riuscito, di scagionare il suo maestro, il famoso scrittore Harry Quebert, dall'accusa di omicidio di Nola Kellergan, grande amore della sua vita scomparsa 33 anni prima ad appena 15 anni e i cui resti vengono ritrovati per caso nel giardino della sua villa.
Ambientato ad Aurora, paesino del New England puritano e idilliaco, ossia perfetto per contenere torbidi segreti, è, insieme, un bel giallo e una soporifera soap opera che si potrebbe ben definire assolutamente adolescenziale se non fosse che l'unica adolescente è Nola e in confronto a tutti gli altri (Quebert in testa, che all'epoca ha 34 anni) è una persona matura e saggia.
Però, davvero, soprattutto per via dei brevi intervalli tra un capitolo e l'altro in cui Harry, a punti, spiega a Marcus i segreti per diventare un grande scrittore (ma in realtà gli sta spiegando come diventare un grande boxeur), a metà libro si comincia a pensare che Dicker ci stia prendendo in giro, che ci sia dell'ironia dietro tutti quei luoghi comuni e paragrafi ripetuti, ma non se ne ha il tempo perché ci si ritrova trascinati appunto nel vortice accattivante del thriller (soft, eh!) con un bel finale a sorpresa (perlomeno per me).
500 pagine per sviare il lettore possono anche essere un'opzione, in questo caso si sconfina più di una volta nella noia e nella perplessità: ma ha venduto molto e in un paese in cui si legge, forse, un libro all'anno: tanto di cappello.
Tanto di cappello come al solito anche alla Bompiani, con una incantevole copertina e l'usuale edizione che è sempre un piacere tenere in mano.

sabato 12 ottobre 2013

I.J. Singer - La famiglia Karnowski

Era tanto che lo avevo visto in libreria, ma il nome Singer mi intimoriva un po'.
Forse.
Anche se in realtà non ho capito subito che non si trattava di Isaac ma di suo fratello Israel.
Poi è arrivata una delle mie pause pranzo sottoforma di fuga dal delirio lavorativo e, complici molte recensioni entusiaste e il solito fascino delle edizioni Adelphi, l'ho preso e portato via.
Una scelta delle più felici.
Sono pagine bellissime che coprono una cinquantina d'anni, penetrando in uno dei periodi più bui della storia attraverso tre generazioni della famiglia Karnowski, di David che lascia la natia, arretrata Polonia per la moderna e erudita Berlino assieme alla moglie Lea, che rimpiangerà invece per sempre la vita semplice di Melnitz, del loro figlio Georg che, dopo un'adolescenza ribelle concretizzerà il "sii ebreo in casa e uomo nel mondo" del padre divenendo un medico stimato e sposando un'infermiera non ebrea, e del loro nipote Jerog che in questa "dualità" si lacererà nel tentativo di negare la sua discendenza ebrea.
E attorno alla famiglia Karnowski ruota tutta la comunità ebraica di Berlino dei primi anni del novecento, i giorni frenetici, le tradizioni e i riti, le rivalità, l'illusione dell'integrazione, la tragedia della prima guerra mondiale, la colpa, le umiliazioni e l'incredulità, l'esodo verso l'America e il rimpianto per la vita di "laggiù".
Una vita  da cui emergono figure mirabili come il vecchio erudito reb Efraim nella sua soffitta piena di vecchi libri polverosi mangiucchiati dai topi, il dottor Landau che svolge la sua professione di medico usando come parcella un piattino su un tavolo nell'ingresso e sua figlia Elsa, indomita e fiera che si erge sulla sua stessa storia, non esitando a buttarsi nella mischia della politica, e Solomon Burak, dal geniale fiuto per gli affari, che accoglie sotto la sua protezione e in casa sua chiunque abbia bisogno e non esita a ricominciare, quando si ritrova in America senza niente, quasi fosse un dovere verso gli altri, dalla sua povera valigia di venditore ambulante.
E' un libro vivido e potente, mai noioso, carico di presagi, "chiaroveggente" come riportato nell'aletta (quanto sono belle le alette dell'Adelphi? E mai firmate...) e considerando che è stato pubblicato nel 1943.
Un libro che ho chiuso con un sospiro, grata per aver avuto l'opportunità di leggerlo.

lunedì 30 settembre 2013

Jerry Spinelli - Stargirl

Stargirl era davvero tantissimo che lo volevo leggere, considerando anche tutte le recensioni entusiaste, però ogni volta che lo prendevo in mano qualcosa me lo faceva posare di nuovo.
Poi si è fatto avanti lui, affiorando, con la sua bruttissima copertina, da una cesta di libri dimenticata sotto un tavolo in un mercatino dell'usato.
E' la storia di Susan, ragazzina che si fa chiamare Stargirl e, nuova arrivata, sconvolge le vite di Leo, la voce narrante, e dei liceali di Mica, cittadina sperduta nel deserto dell'Arizona, con il suo spiccato anticonformismo, i suoi vestiti hippy, l'ukulele con cui fa, senza dimenticarsi mai di nessuno, gli auguri di buon compleanno ai compagni durante la pausa pranzo, i regali e i bigliettini che lascia in giro per la città, la sua attenzione quasi morbosa per le vite degli altri.
Insomma, quasi una sorta di Pollyanna in chiave moderna, ma con addirittura un ufficio e, me lo si conceda, non così simpatica.
L'anticonformismo, specie tra gli adolescenti, non ha vita facile, e Leo per primo, pur innamorandosi di Stargirl proprio per quello che è, la sprona ad una "normalità" a cui la ragazza prova ad arrendersi senza riuscirci ma, anzi, gettando i semi che a poco poco cambieranno la cittadina stessa.
E' una lettura veloce e scorrevole, piacevole, anche se più che l'anticonformismo e la diversità è un libro, a mio parere, che esalta la gentilezza e la capacità di mettersi nei panni dell'altro, valori che comunque possono benissimo essere visti, soprattutto ad una certa età, come anormali, e che si chiude con addosso la sensazione di qualcosa di incompiuto.
Ma soprattutto mi lascia perplessa il fatto che si stia parlando di ragazzi di
16/17 anni, quasi adulti che guidano (siamo in America) già la macchina: davvero li si
raggiunge con un libro etichettato "dai 12 anni" (che anche 12, secondo me,
dovrebbero già essere oltre)?

sabato 21 settembre 2013

Pietro Citati - Il Don Chisciotte

Sono stata per anni prevenuta (e non ricordo perché) nei confronti di  Citati, poi l'estate scorsa mi sono ritrovata immersa nel suo Leopardi uscendone  senza fiato e con il cuore trillante di gratitudine: di fronte alla vetrina che esponeva Il Don Chisciotte non ho avuto nessuna esitazione.
Ma poi: si poteva davvero resistere a quel titolo e a quella copertina?
Questa volta il mio cuore ne è uscito pieno di leggerezza: Citati racconta la storia della storia del cavaliere della Mancia e del suo fedele Sancho Pancia, del sogno e della realtà, con la sua scrittura autorevole, che eppure non fa mai pesare la sua autorevolezza, la sua erudizione e il suo superbo uso della punteggiatura (che è un mio punto debole, lo ammetto) per giocare con un episodio, un personaggio, un oggetto, mettendolo in luce e ribaltandolo, inseguendo Dulcinea e una citazione nascosta, regalandoci la consapevolezza che Cervantes ci ha regalato un libro che a ogni rilettura sarà una riscoperta.
Il mio Don Chisciotte è stato, molto molto tempo fa, un'edizione riveduta per ragazzi ma va bene così: è stata una fantastica e sognante lettura, è bastata per rileggerlo adesso con Citati e nello stesso tempo mi ha istigata nel procurarmi il testo integrale.
Che sto centellinando, alla sera, senza fretta.

mercoledì 18 settembre 2013

Elisabetta Gnone - Fairy Oak: La trilogia completa e I quattro misteri

E' un gran peccato che la narrativa per bambini sia spesso snobbata dalla maggior parte dei lettori adulti.
E' un gran peccato e lo dico con cognizione di causa, visto che faccio parte della lobby anche se molte volte ne farei volentieri a meno.
I libri di Fairy Oak li avevo intravisti molte volte ma ho sempre pensato fossero una trasposizione di una qualche recente serie animata televisiva di quelle che vanno di moda adesso e mi fanno storcere il naso (eh, la supponenza degli adulti!) e non li ho mai considerati molto: La Trilogia completa me l'ha regalata M., grazie alle belle illustrazioni, durante un giro dalla Feltrinelli mentre io passavo dal piano dedicato ai ragazzi letteralmente di corsa per non cedere come al solito troppo facilmente alle sue fauci; I quattro misteri sono invece colpa della libraia vestita di rosa con i codini che mentre sfogliavo il primo volume della serie (il quarto della serie completa) mi ha fatto notare la convenienza del volumone che li conteneva tutti.
In effetti sono edizioni enormi (2 volumi per 7 libri) però molto agevoli da tenere in mano (per un bambino/a credo invece siano meglio le edizione singole, oltretutto anche più belle) e contengono bellissimi inserti a colori, oltre a molte illustrazioni in bianco e nero qua e là tra le pagine.
Sono tutti ambientati nell'immortale cittadina di Fairy Oak, nella Valle di Verdepiano, dove tutti siamo stati in qualche modo da bambini, e la voce narrante è quella dolcissima della fata-tata Seseifelicetulosaidirmelovorrai, detta Felì, chiamata dalla famosa strega Lillà dei Sentieri, detta Lalla Tomelilla, per seguire, come da tradizione, le sue due nipotine Vaniglia e Pervinca, nate a 12 ore di distanza una dall'altra e streghe a loro volta anche se rispettivamente della luce e del buio, di cui rappresentano l'eterna alleanza.
Felì ci porta così alla scoperta di un mondo che è nuovo anche per lei, con streghe e maghi e non magici che trovano un modo per convivere, lezioni di matematica, di arte e di magia, una quercia millenaria dalla lenta parlata che accoglie tutti sotto le sue fronde, un ranocchio per maestro per Shirley Poppy, un baule per Grisam, vestiti colorati per Flox Pollimon, un marinaio gentiluomo, un tesoro dei pirati, gli amici su cui puoi sempre contare, i primi amori, l'odore del mare in tempesta, l'eterna lotta tra il bene e il male.
Sono libri pieni di buoni sentimenti, come devono essere, a misura di bambino: storie e storie nelle storie raccontate soffermandosi e riprendendo i minimi particolari, ed Elisabetta Gnone è davvero brava nel descrivere con accuratezza personaggi, paesaggi e situazioni.
Una lettura spensierata e sorridente: ricordarsi di comprare libri per bambini, ecco un appunto per iniziare bene questo settembre.

sabato 24 agosto 2013

Helene Hanff - 84, Charing Cross Road

Di fronte a questo librino non mi capacito di aver aspettato così tanto a leggerlo.
Librino davvero: piccolo formato, essenziale e pulito nella grafica, poco più di cento pagine ma di meraviglia.
Pubblicato per la prima volta nel 1970 è una raccolta della corrispondenza avvenuta a iniziare dal 1949 tra Helene Hanff e il personale della libreria antiquaria Marks & Co. a Londra, 84, Charing Cross Road, in un crescente rapporto di amicizia che si protrarrà per vent'anni, fin quando la libreria verrà smantellata.
Così sfogliamo le lettere esuberanti della scrittrice/sceneggiatrice Helene alla ricerca di vecchie edizioni di saggistica del seicento/settecento e le lettere pacate di Frank Doel, il principale corrispondente di Helene, in cui, via via, si intrufolano le lettere dei colleghi di Frank, degli amici di Helene in viaggio a Londra e alla libreria, della famiglia di Frank e della sua anziana vicina di casa.
Siamo negli anni dell'immediato dopoguerra, l'Inghilterra fa i conti con il razionamento alimentare, Helene, dalla ricca America, invia alla libreria uova, bacon, calze e richieste di libri sognando il giorno in cui potrà finalmente visitare Londra, Frank fruga nelle vecchie dimore inglesi di campagna alla ricerca di una buona edizione del Tristam Shandy o del diario di Samuel Pepys (che ora voglio leggere anch'io!).
La fine lascia un po' di amaro in bocca, in senso positivo, come dovrebbe essere per ogni buona lettura, e un po' di rammarico che si attenua nell'apprendere che 84, Charing Cross Road ha dato lo spunto a Helene per altri due libri: The Duckess of Bloomsbury Street e Q's Legacy (oltre al film, con Anne Bancroft e Anthony Hopkins, che sembra abbia fatto da traino  nel far diventare il libro un "libro di culto").
Non mi sono piaciute - ma è un puntiglio mio - le note messe in fondo al libro invece che in fondo alla pagina, ma sono da leggere per bene anche quelle e magari tornare indietro e godersi di nuovo i commenti di Helene sulle edizioni ricevute, sugli scritti in sé o nel reclamare il suo diritto a gettare i libri che non le servono e decidere un acquisto solo dopo aver letto per bene il libro, per poterlo rileggere all'infinito.

venerdì 23 agosto 2013

Elizabeth Ferrars - Delitto a regola d'arte e Rebus per otto

Questa estate mi aveva felicemente sorpreso (e illuso) iniziando in ritardo ma adesso, e lo sapevo!, sembra non finire mai, aumentando la mia voglia di svago inerte, di ore fatte scivolare via.
Così ho tirato fuori una pila di vecchi Gialli Mondadori, una mia grande passione, che M. mi ha gentilmente procurato chissà dove alcuni mesi fa e di cui mi ero quasi dimenticata.
Ho iniziato per caso da Delitto a regola d'arte di Elizabeth Ferrars, autrice inglese che (shame on me!) non conoscevo, e mi è piaciuto moltissimo, proprio il giallo classico inglese che adoro: è stato con soddisfazione che ho scoperto che la pila conteneva un altro volume della stessa autrice, Rebus per otto.
Per essere rispettivamente del 1968 e del 1961, e tenendo conto che si tratta di edizioni super-economiche, questi 2 librini se la sono cavata davvero egregiamente, non sfaldandosi durante la lettura e inebriandomi di quell'odore tipico dei libri vecchi che alcuni chiamano "di muffa" e io profumo.
Ambientati in Inghilterra vengono definiti come "gialli psicologici" e in effetti Ferrars è brava a tratteggiare i personaggi, gli ambienti e i paesaggi in un affresco che fa passare il delitto in secondo piano e fa si che le conclusioni piuttosto frettolose non disturbino più di tanto.
Qualcosa di recente, ebooks prevalentemente, si trova ancora di Ferrars (in italiano, in inglese ovviamente è pubblicata continuamente) ma il bello dei Gialli Mondadori è la lettura inframezzata dalle pubblicità, di libri e non, che strappano un sorriso, e "La rivista di Ellery Queen" in appendice che ci racconta la passione morbosa per i delitti e i grandi e piccoli misteri insoluti.
Vale quindi la pena cercare di recuperarli in queste edizioni: il mio girovagare tra bancarelle e negozi di libri usati dovrà dilatarsi una volta di più.

giovedì 15 agosto 2013

Virginia de Winter - Black Friars 1 e 2


La Leggivendola ne aveva parlato bene, Twilight mi era piaciuto (il primo volume perlomeno, a metà del secondo ho piantato lì tutto) e mi fa sempre piacere un po' di fantasy, soprattutto in questo interminabile periodo di attesa della fine di una stagione che non amo per niente.
Inoltre sono ancora (!) completamente affascinata dal potermi comprare un libro alle 11 della sera e averlo sul mio e-reader nel giro di un paio di minuti.
Il primo volume - L'ordine della spada - inizia bene, se non fosse che, nel farmi largo per più di cinquecento pagine tra valanghe di metafore, paragrafi a volte del tutto incomprensibili e un uso del complemento soggetto totalmente soggettivo, mi sono persa la trama.
I dialoghi non sono male nella loro semplicità e l'ambientazione è affascinante ma da Fazi mi aspettavo un editing un po' più raffinato.
Ho apprezzato però il prezzo dell'ebook, consono ad una prima conoscenza: voglio dire: per 1,99 euro è valsa la pena provare e anche dare a Virginia de Winter una seconda possibilità.
Il secondo volume, L'ordine della chiave (prequel del primo volume), scorre di più, ha meno pagine e meglio sfrondate, che danno modo di apprezzare l'elaborazione della storia, degli ambienti e di qualche personaggio ben costruito.
La storia d'amore tra Eloise e Axel, attorno a cui ruotano i due volumi, è a volte molto, molto stucchevole e, a tratti, un po' forzata. Ma è fiction e YA: ci sta.
Insomma, una lettura leggera d'evasione, senza aspettarsi troppo, di cui rimangono altri due volumi: sono andata a sbirciare negli estratti (questi miracoli della tecnologia che vengono in soccorso nei tediosi momenti delle lunghe giornate in ufficio) ma per ora mi fermo qui.


domenica 28 luglio 2013

Elizabeth Gaskell - La vita di Charlotte Brontë

Nonostante sia Jane Eyre il mio libro preferito tra quelli delle sorelle Brontë ho sempre avuto un debole per Emily, quindi il volume della Gaskell (che, al solito, mi è capitato tra le mani per caso) l'ho iniziato soprattutto per l'affetto che mi lega alle edizioni La Tartaruga, che ho sempre amato molto, ma un po' svogliatamente.
Ci sono rimasta letteralmente incollata per un intero caldissimo fine settimana, tralasciando qualche interruzione per riprendere fiato da una sorta di oppressione che aleggia claustrofobicamente tra le pagine.
Elizabeth Gaskell ebbe, negli ultimi anni della breve vita di Charlotte, buoni rapporti d'amicizia con i Brontë (rimasti ormai solo in due) e fu il Reverendo Brontë stesso a commissionarle, alla morte della figlia, la sua biografia.
Scrivere di un membro della famiglia Brontë eludendo tutti gli altri è impresa impossibile ma la parte del leone, in questo caso, la fanno Charlotte e il paesaggio aspro e rude della brughiera dello Yorkshire che circonda la canonica di Haworth, solitaria e insalubre, circondata su tre lati dal cimitero del paese, che divenne parte integrante della vita dei sei piccoli Brontë al punto che non riusciranno mai a staccarsi da lei, ammalandosi addirittura ogni volta che se ne dovevano allontanare.
Rimasti orfani in tenera età e cresciuti dalla severa zia Elizabeth e dalla domestica Tabby, a cui rimarranno legatissimi per sempre, i Brontë crescono facendo uso senza restrizioni della fantasia e dell'immaginazione, appassionandosi alla conversazione, alla lettura e ai dibattiti politici e religiosi, sognando successi artistici e letterari.
Elizabeth Gaskell ebbe l'opportunità di poter accedere di persona non solo ai ricordi e alle opininioni di chi aveva conosciuto i Brontë ma anche, grazie ai destinatari stessi, di poter leggere e trascrivere molte delle loro lettere, così da far sentire chiara e forte la loro voce e, nel caso di Charlotte, lasciandole quasi interamente le redini del racconto, ripercorrendo l'amore totale per la brughiera, la morte precoce delle due sorelle maggiori, Mary e Elizabeth, per le privazioni e la vita malsana condotta alla Scuola per le figlie degli ecclesiastici a Cowan's Bridge (che ispirerà Jane Eyre), i progetti, una volta finiti gli studi, di aprire una scuola privata all'interno della canonica e la permanenza in Belgio di Charlotte e Emily per imparare le lingue e poterle insegnare, i lavori come istitutrici, le speranze di successo per il fratello Branwell che cadrà invece, per una delusione d'amore, nella spirale del bere e dell'oppio, le prime poesie e i primi romanzi pubblicati sotto gli pseudonimi di Acton, Currer e Ellis Bell, i primi viaggi a Londra e il graduale riconoscimento delle loro opere, la morte di Branwell e, a poca distanza, di Emily e Anne, il matrimonio di Charlotte con il Reverendo Nichols che sarà un attimo solo di felicità.
E' un libro, come ho detto, cupo e a tratti soffocante ma intriso dell'affetto e dell'ammirazione di Elizabeth verso Charlotte e la mente di tre donne che, pur ancorate a rigide tradizioni e modelli di vita, non permettono a nessuno di sottomettere la loro libertà intellettuale e di pensiero.
E al di là delle notizie biografiche (su cui aleggiano un certo pudore dovuto all'amicizia, la necessità di non trascrivere nomi di persone ancora in vita, la censura vittoriana) la meraviglia infatti è l'opportunità di leggere le bellissime lettere in cui Charlotte esprime le proprie opinioni sulle sue ultime letture, consiglia ad un'amica i titoli imperdibili, svela l'amore per Thackeray e le perplessità sul successo di Jane Austen.
E ascoltandola, sembra di vederla, nella sua stanza sulla brughiera, vestita di nero, in maniera semplice, con un volumetto tra le mani o china su un foglio, questa donna gracile e timidissima, che rassegna a Dio ogni dolore e che "desiderava essere criticata in quanto scrittore, senza allusioni al suo sesso".

venerdì 26 luglio 2013

Brendan O'Carroll - Agnes Browne ragazza

Agnes Browne ragazza è stato scritto, nonostante sia cronologicamente anteriore, dopo Agnes Browne mamma, ed è molto più bello.
Inizia e finisce con il matrimonio tra Agnes Reddin e Rosso Browne ma è la storia di una grande amicizia, quella tra Agnes e Marion.
Ed è con loro che la mattina del matrimonio di Agnes torniamo indietro nel tempo per conoscere Connie, figlia del proprietario della fonderia di Dublino, e del suo amore per Bosco Reddin, operaio della stessa fonderia, che la porterà a farsi ripudiare dalla famiglia trasferendosi al Jarro, quartiere popolare, dove si sposa e comincia a crescere le due figlie, Agnes e Dolly, dove cominciano a manifestarsi i sintomi di una malattia mentale che le fa dimenticare le cose e dove vede morire il marito per difendere un ragazzino e la voglia di libertà e di giustizia dell'Irlanda.
Agnes si ritrova così a dover accudire la mamma e la sorellina, entrando a far parte, grazie all'aiuto di Marion che vi lavora assieme alla madre, della grande famiglia del mercato della frutta di Dublino, dove Nelly "coltello" Nugent  le offre un lavoro e diventa una figura adulta su cui fare riferimento.
Ed è la storia della possibilità rincorsa da Agnes di espatriare in Canada lasciando invece il posto a Dolly facendola fuggire da prigione, in cui era finita per una bravata, mentre lei, incinta, diventa Agnes Browne sposandosi, con grande scandalo, con l'abito bianco di sua madre che in un ultimo momento di lucidità torna a testa alta la Signorina Constance Parker - Willis.
E' un libro pieno di allegria, delle risate con cui, anche per un solo istante, ci si scrollano di dosso le brutture della vita.
Ed è un libro amaro, un'ode al coraggio e alla forza delle donne che reggono e mandano avanti un mondo che poi di fronte a loro si gira dall'altra parte.
Mi ha fatto piacere averlo letto.
E le copertine di Neri Pozza sono sempre bellissime.
Però per me, almeno per un po', la saga di Agnes Browne si ferma qui.


domenica 23 giugno 2013

J.R.R. Tolkien - Lo hobbit

Ho sempre amato rileggere, rileggere e rileggere ancora.
A volte, ripensandoci, quasi con ossessione, scandagliando parole e frasi e modi di dire forse cercando, assurdamente, una qualche certezza.
Adesso invece lo faccio raramente, fagocitata dall'ingordigia di molte nuove letture; e me ne dispiace.
L'uscita nelle sale dell'ultimo film di Peter Jackson (che non ho visto) mi ha ricordato che Lo hobbit l'avevo letto davvero tanto tempo fa, mi ha fatto venire una irrefrenabile voglia di riprenderlo in mano e me ne sono procurata subito una copia (lo avevo letto prendendolo a prestito dalla biblioteca): ho trovato quest'edizione Adelphi, che mi ha risparmiato un qualche fotogramma in copertina, e sono di nuovo sgattaiolata tutta contenta dietro al caro Signor Baggins e al manipolo di nani che lo trascina alla ricerca del tesoro rubato e tenuto in ostaggio da Smaug, ho rifatto la conoscenza di Elrond, risentito i profumi di Forraspaccata e Bosco Atro, mi sono riempita un'altra volta di tenerezza alla comparsa di Gollum, ho tirato un respiro di sollievo all'arrivo delle botti a Pontelagolungo e trattenuto il fiato nelle ore prima della battaglia, mi sono goduta per bene tutte le canzoni dei nani e ho sorriso soddisfatta, alla fine, con Bilbo e Gandalf seduti sulla porta della tana hobbit a fumarsi un po' di erba pipa.
E mi sono ricordata perché è il Tolkien che mi è sempre piaciuto di più: è il Tolkien che ti fa accomodare, e in confidenza inizia a raccontarti una storia, prendendosi il suo tempo, a volte assumendo un'aria vaga a volte accelerando il passo, guardandoti negli occhi e rassicurandoti che la conclusione sarà proprio quella che ti aspetti.
E' il Tolkien che ti narra una storia mantenendo intatto, nella perfezione, l'incanto dell'improvvisazione.
E, come tutte le storie che si rispettino, non se ne ha mai abbastanza.
Quest'edizione Adelphi (anche se rimpiango un po' quella Bompiani, ma solo per una questione affettiva), non c'è bisogno di dirlo, è molto curata e riporta in copertina un bel disegno dell'autore ma all'interno ci sono altri suoi disegni e due mappe, quella di Thror all'inizio e quella delle Terre Selvagge alla fine.
Giusto in tempo per ricominciare.
                                      "In una caverna sotto terra viveva uno hobbit"

lunedì 27 maggio 2013

Clare Vanderpool - L'indimenticabile estate di Abilene Tucker

Di Abilene Tucker avevo letto la recensione di Silvia (grazie!) e mi aveva incuriosito molto, ma poi me ne sono dimenticata.
L'ho rivisto per caso qualche tempo dopo esposto in bella vista nel reparto ragazzi alla F., ma avevo già un sacco di altri libri in mano e non l'ho preso.
Poi sono tornata apposta per prenderlo, ma avevo fretta, non era più esposto, non mi ricordavo il nome dell'autrice e ho lasciato perdere: mentre andavo verso la cassa me lo sono ritrovata davanti su uno scaffale che non c'entrava niente, abbandonato probabilmente da qualcuno. 
I libri non finiscono mai di sorprendermi.
Iniziato e finito in una di queste domeniche temporalesche che incitano alla lettura mi ha divertito molto: è davvero una bella storia; in realtà tante storie, una dentro l'altra.
L'indimenticabile estate di Abilene, 12 anni, inizia il 27 maggio 1936 quando arriva a Manifest, Kansas, dove il padre ha trascorso qualche anno da ragazzo e dove la manda a passare l'estate, in tempo per l'ultimo giorno di scuola in cui le viene assegnato anche un compito per le vacanze: raccontare una storia.
Risentita e ferita per il comportamento incomprensibile del padre, Abilene decide di seguirne le tracce tra le vite e la vita di Manifest con l'aiuto di due nuove amiche, una scatola piena di tesori trovata sotto un'asse del pavimento della casa di Shady, che la ospita come aveva tempo prima ospitato suo padre, e la sua capacità di stare ad ascoltare.
Il filo conduttore è la scatola piena di tesori: un amo, un tappo di sughero, una chiave, la bambolina più piccola di una matrioska, ma soprattutto una mappa e delle lettere che suggeriscono un mistero e istigano le tre ragazzine a mettersi sulle tracce di una misteriosa talpa tornando, a poco a poco, indietro nel tempo grazie ai racconti di Miss Sadie, alle lettere di Ned a Jinx dal fronte, al Notiziario di Hattie Mae, per ripercorrere la storia di Manifest nel 1917/18, gli anni del proibizionismo, del razzismo estremo, degli immigrati che alla ricerca di una vita migliore affollano la cittadina e che nelle loro differenze trovano l'abilità di superare insieme le ingiustizie dello sfruttamento e le angustie e le perdite per via di quella guerra che imperversa in Europa e che si intrufola ovunque e segna la vita di tutti, spesso facendo conoscere le persone per quello che sono davvero, e non quello che sembrano.
Abilene ha trovato la sua storia.
L'edizione (Giralangolo/EDT, editore che non conoscevo ma di cui sto spulciando il catalogo) è molto curata e con un profumo buonissimo, una sola svista in fondo, su una data, una bella ed accattivante copertina e un'efficace traduzione del titolo.
E' una sorta di romanzo storico per ragazzi, con delle interessanti note in fondo in cui l'autrice spiega cosa è finzione e cosa no e, a mio parere, un ottimo modo, anche se dilatato e abbellito, di far conoscere aspetti importanti della storia del mondo.
Il premio (il Newbery Medal Award 2011) per "l'eccezionale  contributo dato alla letteratura per l'infanzia" è, sempre a mio parere, meritatissimo.

martedì 14 maggio 2013

Marco Malvaldi - La briscola in cinque

Ci sono libri che, pur incuriosendomi, non sono (quasi) mai tentata di comprare. O che si perdono in una delle infinite liste senza fondo.
Per fortuna ci sono le mie adorate bancarelle dell'usato, dove il caso la fa da padrone ma che a volte riescono sorprendentemente ad accontentare la mia idiosincrasia di seguire un certo ordine, proprio come con questo La briscola in cinque che è proprio il primo romanzo di Malvaldi.
Ambientato in un immaginario paese vicino a Livorno, Pineta, uno dei tanti paesini della riviera che sembrano vivere solo d'estate con i turisti a cui tutto e tutti si adeguano senza remore, è un giallo semplice dalla trama innocua (l'omicidio di una ragazza giovanissima - che si scopre, come al solito, non essere proprio la brava ragazza che si pensava - da parte dell'amante attempato e sposato di cui era rimasta incinta) che ruota attorno a un gruppo di pensionati che si ritrovano al BarLume di proprietà di Massimo, nipote di uno di loro, che non è proprio di una simpatia eclatante ma regge alle battute degli arzilli vecchietti che con le loro chiacchiere lo aiutano nel risolvere il delitto, in cui rimane invischiato per via del ragazzo che trova per primo il cadavere in un cassonetto e si rivolge a Massimo, troppo ubriaco per farlo lui stesso, per chiedere aiuto.
Le edizioni Sellerio sono come al solito molto eleganti e con belle copertine e Malvaldi è bravo nel rendere quell'atmosfera sonnolenta di fine estate, con il profumo dei pini e del mare che accompagna il cambio dei turisti e le battute in toscano degli irriducibili che guardano dall'alto e con tanta ironia le vite all'interno delle grandi ville immolate alla mera apparenza.
Una lettura piacevole che scorre via, un autore da segnarsi per quei momenti (tanti) in cui è bene abbandonarsi un po' alla leggerezza.

giovedì 2 maggio 2013

Luca e Francesco Cavalli-Sforza - Chi siamo. La storia della diversità umana

Chi siamo è frutto di una pausa pranzo liberatoria e in solitudine che mi ha permesso di passare il resto della giornata, uggiosa fuori ma anche dentro l'ufficio, con l'aspettativa di una borsa piena di libri inattesi da affrontare.
La copertina non è granché (se non come esempio commerciale, forse) ma gli Oscar Mondadori sono sempre comodi e leggeri da tenere in mano.
Il lavoro di Luca Cavalli - Sforza, a grandi linee, lo conosco da anni ma non avevo mai letto niente di suo e non posso fare paragoni (anche perché questo libro è coadiuvato dal figlio Francesco, che è un regista, e non so quanto possa aver influito nell'esposizione) però in questo caso si tratta di un argomento vasto e sfaccettato affrontato con inusuale chiarezza e molto garbo (ed è un pregio così raro!) e con molta attenzione verso il lettore, riprendendo i concetti più articolati o suggerendo di saltare il paragrafo se si hanno già le idee chiare.
Partendo dall'esposizione dei suoi studi di genetica sui pigmei, popolo simpaticissimo di cacciatori-raccoglitori e uno degli ultimi esempi rimasti di stile di vita "arcaico", Cavalli - Sforza racconta la nostra lunga e bellissima storia, i nostri antenati e i loro primi passi nel mondo, le loro migrazioni, l'inventiva e il passaggio all'agricoltura, l'adattamento ai vari climi, ci guida attraverso gli studi sui fossili, sul DNA (mitocondriale, soprattutto) e sui gruppi sanguigni, spiega l'aiuto della linguistica, della demografia, dell'antropologia e della paleontologia nelle ricerche sui processi di evoluzione e diversificazione, usa esempi, come l'anemia mediterranea per spiegare le mutazioni genetiche, che tengono desto l'interesse, e smonta a poco a poco molti dei luoghi comuni più insensati, soprattutto quelli legati alle differenze di razza e a certi miti di superiorità.
E' la nostra bellissima storia ed è divulgazione scientifica al suo stato migliore, un lungo racconto in stile colloquiale (doveva essere in effetti un libro-intervista) attraverso i milioni di anni che ci hanno permesso di diventare chi siamo, anche se purtroppo spesso non ne abbiamo affatto la consapevolezza.

martedì 9 aprile 2013

João Magueijo - La particella mancante

Stando dall'altra parte della barricata (quella umanistica, intendo) sono sempre in adorante ammirazione per l'altra parte, quella scientifica, che idolatro arrancando nel (cercare di) star dietro a tutta quella meraviglia.
Era tanto che volevo un libro su Ettore Majorana: la Feltrinelli e quel fantastico (e subdolo) scaffale piazzato in maniera strategica tra i libri di storia e quelli per ragazzi me lo hanno donato, è il caso di dirlo, su un vassoio d'argento, impilandolo in bella vista e ad altezza giusta - messo proprio lì apposta!
João Magueijo è un fisico portoghese che insegna a Londra, ha una scrittura goliardica, soprattutto quando meno te lo aspetti, e un'ossessione per il geniale fisico nucleare scomparso nel nulla la notte del 26 marzo 1938, a soli 31 anni.
Un mistero che ha ispirato tantissime ipotesi, spesso assurde, e che Magueijo ripercorre parallelamente alla vita di Majorana (a cui si riferisce sempre e solo come "Ettore"), ai suoi studi  e alle sue scoperte.
E' un libro affascinante che dispiega, attraverso interviste, libri, documentari, film, fumetti, la vita di Ettore bambino dalla precoce mente matematica, esibito come fenomeno da baraccone, i primi studi a Catania e la laurea in Ingegneria a Roma, i rapporti e i contrasti con i ragazzi di Via Panisperna, la sua refrattarietà a qualsiasi pubblicazione e riconoscimento, le ossessioni e i complessi che lo affliggevano.
E insieme a Ettore seguiamo la storia del neutrino, del positrone e l'evoluzione dell'elettrone, ci intestardiamo a capire lo spin (questa sono io!) e la differenza tra il decadimento alfa e quello beta, facciamo la conoscenza di Dirac e del suo neutrino antagonista di quello di Ettore, passeggiamo con Bohr e Heisenberg, ci ricordiamo del gatto di  Schrodinger, tratteniamo il fiato con Fermi e gli altri ragazzi di fronte alla vasca dei pesci rossi dove è iniziato tutto, anche se non lo sapevano, proviamo a immaginare cosa deve essere stato, in un periodo come quello, con la storia che incombe e distrae, a giungere alle scoperte che hanno cambiato il mondo.
Ci sono un paio di sviste - un Ettore al posto di un Enrico e un paio di errori di battitura - ma si soprassiede. Peccato invece per la traduzione del titolo, che è consono ma non ha la bellezza dell'originale : " A Brilliant Darkness. The Extraordinary Life and Disappearance of Ettore Majorana, the Troubled Genius of the Nuclear Age".

venerdì 22 marzo 2013

Jonathan Safran Foer - Molto forte, incredibilmente vicino

Molto forte, incredibilmente vicino l'ho letto grazie ad un regalo di Natale inaspettato che ha vinto una mia certa reticenza: lo dico sempre, che i libri arrivano da sé.
L'ho letto a cominciare dal titolo, che è bellissimo e racchiude tutto il libro.
Ci vogliono un po' di pagine per familiarizzare con la scrittura destabilizzante di J.S.F., occorre lasciarsi guidare completamente, godersi ogni parola e ogni frase, ogni foto che appare all'improvviso.
Oskar, il protagonista, ha 9 anni, un peso sul cuore, quell'ultima telefonata del padre registrata dalla segreteria prima della morte nel crollo delle torri gemelle, e una chiave trovata per caso, simbolo concreto e nello stesso tempo surreale, a cui si affida, mentre gironzola per le strade di New York alla ricerca della serratura giusta, con la fame dell'esigenza inconsapevole di imparare a rispettare gli spazi vuoti che non si possono riempire, le domande senza risposte, i dolori che non si riescono a raccontare.
E' un libro tragico eppure bellissimo, che subito istiga domande ma cedi subito e ti fai prendere per mano con gentilezza mentre si svelano particolari della storia della famiglia Schell e delle persone che Oskar incontra durante i suoi giri, gli orrori delle guerre, le perdite, le ferite dell'anima, le parole che non ha senso dire, le parole lasciate andare, i pudori che si tengono stretti, le riconciliazioni, soprattutto con sé stessi, il peso del mondo e la sua leggerezza.
E poi l'ultima sequenza di foto, che è un pugno allo stomaco e nello stesso tempo uno squarcio di speranza: non la speranza di poter cambiare ciò che è stato ma l'accettazione come forma suprema di amore.
Non so se sono riuscita a percepire tutto quello che J.S.F. vuole dire, però questo libro l'ho amato in ogni singolo istante.

domenica 10 marzo 2013

John Bellairs - La pendola magica

Il libro di Bellairs, autore che, purtroppo, non conoscevo assolutamente, l'ho preso "per far numero" (visti i prezzi ridicoli e per una questione di avidità, lo ammetto) assieme a Carofiglio e a un libro di Malvaldi.
Mi sono accorta solo arrivata a casa che le illustrazioni (come, ho scoperto, per tutti gli altri suoi libri) sono di Edward Gorey: la mia soddisfazione è andata alle stelle.
Etichettato come racconto gotico "per ragazzi" (e mi pesano sempre tanto queste classificazioni!) è la storia di Lewis, 10 anni e una valigia piena di libri e di soldatini di piombo, che, rimasto orfano di entrambi i genitori, si trasferisce, nella calda estate del 1948, a New Zebedee, nel Michigan, per vivere con lo zio Jonathan, "mago da salotto", in una bellissima casa in pietra, al n. 100 di High Street, con una torretta, un ippocastano sul davanti e una vezzosa cancellata in ferro.
Lewis fa così conoscenza con la vicina di casa e grande amica dello zio, la Signora Zimmermann, maga con tanto di diploma, e rincorre insieme a loro, tra merende con biscotti al cioccolato e partite a poker, l'inarrestabile ticchettio di un pendolo nascosto dai potenti maghi Isaac e Selenna Izard dietro una parete della casa a segnare l'ora della distruzione del mondo; si diletta con il cannocchiale dello zio che per 5 scellini permette di dare un'occhiata alla flotta dell' "Invencible Armada" o alla battaglia di Waterloo; cerca di conquistare definitivamente l'amicizia di Tarby, uno dei ragazzi più popolari della scuola, promettendogli di riuscire a resuscitare un cadavere scegliendo, inconsapevolmente, proprio quello della terribile Signora Izard ma riscattandosi sconfiggendola, assieme al suo orologio magico, grazie al libro di J.L. Stoddard che gli permette di evitare l'incanto della Mano di Gloria (Harry!).
E' davvero una bella storia, con un po' di mistero, tanta magia e rifinita splendidamente dalle molte illustrazioni.
E su quel cannocchiale ci ho lasciato il cuore.

sabato 2 marzo 2013

Alan Bennett - Una vita come le altre

Il libro di Bennett è il frutto di uno degli usuali giri in biblioteca del primo giorno di ferie, complici gli orari incompatibili di ufficio e biblioteca visto che, evidentemente, le biblioteche e il lavoro si pensa tendano a respingersi, e chissà perché.
Per chi conosce Bennett Una vita come le altre è un libro diverso e particolare, intimo, corredato da fotografie che ispirano la colpevole sensazione di sbirciare nel privato altrui e su cui aleggia la stessa timidezza di famiglia a cui lo scrittore cerca, più volte, di dare un significato concreto, di farne simbolo di elevazione denigrandola.
E' un Alan Bennett che si guarda indietro, un risucchio (170 pagine che si leggono in una giornata) pervaso di malinconia, di dubbi e certezze verso quel che è stato, di curiosità instancabile, d'insofferenza, di ironia e di riconciliazione.
E quella che racconta sotto il suo sguardo "poco caritatevole", come riportato in qualche recensione, è una storia d'amore, ma soprattutto una storia di rispetto e di accettazione.
Non è il Bennett a cui siamo abituati e se ne esce un po' in subbuglio, ma non è per questo che si continua a leggere?

sabato 23 febbraio 2013

Oliver Sacks - Un antropologo su Marte

Ho il vizio, che alimento con tenacia, di tenere da parte una lista di libri, sparsi qua e là sugli scaffali della biblioteca di quartiere, da cui attingere in caso di voglia improvvisa di rassicurazioni. E Oliver Sacks lo si ritrova intatto in ogni suo scritto: lo stesso sguardo del neurologo competente e consapevole e quello entusiasta e pieno di meraviglia che si concede arrendevole alla semplice osservazione per lasciar parlare la genialità spesso incompresa sotto la coltre oppressiva dei luoghi comuni.
Non serve molto: basta godersi la scrittura chiara e priva di faziosi orpelli trotterellando con lui (immaginatelo mentre si accarezza la barba grigia godendosi allegro le sue Fisherman's friends) dietro il Dr. Bennett, medico chirurgo che spiega la necessità, dopo giornate passate a combatterla, di arrendersi alla sindrome di Tourette, che lo rende quello che è; alla D.ssa Grandin, che studia con curiosità il suo stesso autismo e che con la stessa curiosità cerca di capire e di provare quei sentimenti e quelle emozioni che si danno spesso per scontati, e non lo sono; a Virgil che non è riuscito a fare i conti con il regredire della sua cecità; a tutti i pazienti che durante i sette racconti del libro ci raccontano quell'ovvio su cui a volte (spesso) si soprassiede per pigrizia (spero).


sabato 16 febbraio 2013

David Foster Wallace - Una cosa divertente che non farò mai più

Nonostante la simpatia che Foster Wallace, come persona, mi ha sempre ispirato (per quel poco che ho letto su di lui) e l'intenzione, prima o poi, di leggere qualcosa di suo, sono sempre stata frenata da una certa critica un po' troppo esuberante che, per esperienza, spesso e volentieri è preannuncio di notevoli delusioni.
Una cosa divertente che non farò mai più mi è sembrato una lettura innocua e ha mantenuto le aspettative: costruito sull'esperienza di DFW come corrispondente per l' Harper's su una di quelle enormi navi da crociera che vanno di moda adesso (il testo originale è del 1997 ma presumo non sia cambiato molto), rivela uno scrittore curioso e attento, ironico, che guarda con occhi disincantati e leggermente stupiti (a volte persino un po' troppo) la piena di gente che intorno a lui cerca avidamente di far sì che i messaggi con cui sono stati adescati ("lasciatevi viziare") abbiano un loro perchè.
DFW passa ogni cosa al setaccio, dall'arrivo all'aeroporto di Fort Lauderdale, all'attesa sulla banchina, alla sistemazione sulla nave, agli attracchi nave contro nave, alle cene e alle attività di gruppo, alle incongruenze e agli egoismi che passano sotto gli occhi indifferenti di tutti al grido del "divertirsi ad ogni costo"; a volte senza nemmeno sapere cosa si sta facendo.
E' un libro intelligente, e si respira tutta la costernazione di fronte ai comportamenti al limite dell'assurdo della folla di esseri umani di cui DFW tratteggia un ritratto non proprio lusinghiero, ponendo l'accento sulle tendenze capronesche a cui tutti si sottomettono con uniformità e quasi con diligenza.
Ma, ehi baby, è l'evoluzione della vacanza del mondo occidentale.
Che sembra, paradossalmente, non riuscire mai a prendersi una vacanza da se stesso.

mercoledì 6 febbraio 2013

Richard Dawkins - L'illusione di dio

L'illusione di dio mi sono convinta a comprarlo dopo aver visto una breve intervista di Jonathan Miller a Dawkins, che era vestito impeccabilmente di tweed e di aplomb britannico, e il tweed è una mia debolezza.
L'ho letto di getto - oh, il grande genio divulgativo degli inglesi! - ed è stata una lettura divertente e interessante. Ma, soprattutto, è stata una lettura inaspettata: lasciando da parte tutte le inutili recensioni a senso unico, sia da una parte che dall'altra, lo si può leggere subito tra le righe o aspettare le ultime pagine: l'illusione di dio non è nient'altro che una grande dichiarazione d'amore.

venerdì 25 gennaio 2013

Gianrico Carofiglio - Le perfezioni provvisorie

Le perfezioni provvisorie l'ho preso innocentemente (e ad un prezzo ridicolo) sulla solita bancarella natalizia di libri usati e mi ci sono volute una trentina di pagine per accorgermi che me lo aveva già imprestato S., nella prima edizione Sellerio, e che glielo avevo reso quasi subito senza andare oltre il primo capitolo; chissà perchè non mi sono accorta della bellezza del titolo, che spesso è lui che (sigh!) trascina le mie scelte.
Questa volta sono arrivata in fondo anche se l'avvocato Guido Guerrieri non è proprio l'emblema della simpatia, però i personaggi e la Bari (che non conosco) che lo circondano suppliscono in maniera egregia.
La scrittura di Carofiglio (magistrato nella realtà) è competente ma il caso in cui viene coinvolto l'avvocato - la scomparsa di una studentessa che si rivela non essere la brava ragazza che tutti credevano - rimane ai margini, è solo l'avvio che innesca un'improvvisa presa di coscienza del suo essere ormai quarantenne (!) con un passato che riemerge a sprazzi e su cui tirare le somme.
E' più, quindi, un romanzo introspettivo che il legal-drama che mi aspettavo, e l'aver appena conosciuto Guerrieri lascia qualcosa in sospeso.
E allunga la lista dei titoli da tenere d'occhio.

giovedì 17 gennaio 2013

Andrea Camilleri - Una voce di notte / Andrea Vitali - Regalo di nozze

Aver diffuso, almeno in parte, l'abitudine a leggere nella pausa pranzo sta dando i suoi buoni frutti, considerando, di nuovo, gli orari inospitali delle biblioteche di quartiere.
Questa volta ho recuperato due vecchie conoscenze e, come diceva qualche tempo fa La Leggivendola parlando delle saghe, quando ci si affeziona ai personaggi ritrovarli è sempre un piacere rilassante.
Con Camilleri devo ammettere che ultimamente avevo un po' diradato gli appuntamenti (che stargli dietro è comunque un'impresa non da poco!) soprattutto per una certa parvenza di noia.
Di Una voce di notte me ne avevano parlato tutti bene: complice una domenica piovosa ho fatto pace con Salvo, che invecchia, si azzuffa e si incazza, non resiste a un invito a pranzo sul luogo di un delitto, abbraccia per ben due volte Catarella, risolve un paio di casi intricati e si lascia pervadere da un certo rammarico di fronte a una certa giustizia che è giustizia e nello stesso tempo non lo è.
L'ho ritrovato davvero con piacere.
Regalo di nozze è la solita delizia di Vitali, questa volta alle prese con i mitici anni '60, con in sottofondo il motore scoppiettante di una seicento bianca e il profumo del mare che si intreccia con quello lacustre.
E' un racconto lungo a ritroso, sull'onda del ricordo di una sgangherata gita verso il mare di vent'anni prima che si rivela, alla fine, non essere quella che Ercole Correnti ricordava ma che si riassume in un modellino da due soldi che rappresenta la felicità.
Mi devo ancora riconciliare con la conclusione forse un po' frettolosa, ma anche in questo caso ritrovarlo è stato un vero piacere.

domenica 6 gennaio 2013

A.J. Cross - Ossa fredde

Recensito dalla collega a cui appartiene e che odia questo tipo di letture con "carino, non credevo", voluminoso, ambientato a Birmingham (e alla cara vecchia Albione non so resistere), con un font accogliente, con il solito titolo surreale che ci è ormai famigliare e la parola "forense" in evidenza me lo sono portata a casa pregustando una bella immersione tra coperte e varie tazze di té per festeggiare come si deve (almeno in parte) le ore libere dalla full-immersion natalizia.
Pieno di errori di battitura, con un rimando sul risvolto di copertina alla D.ssa Brennan e a Gil Grissom che invece non c'entrano niente e un po' prolisso soprattutto nella parte centrale è stato tuttavia una lettura accattivante e divertente.
Dal lato della psicologia forense non è niente di speciale (almeno per chi, come me, macina tonnellate di libri e serie tv del genere) ma la Dottoressa Hanson è simpatica, i dialoghi tengono e l'idea del serial killer/CSI non è male.
E' un'opera prima e si sente, ma è anche una lettura veloce e non impegnativa.
E le ultime battute lasciano presagire un ritorno. Chissà.

martedì 1 gennaio 2013

Brendan O'Carrol - Agnes Browne mamma

Agnes Browne mamma era accanto ai diari di Virginia Woolf, che stavo sfogliando mentre ponderavo su come impiegare al meglio (ah!) la tessera a punti ormai piena della libreria sotto casa.
Ne avevo sentito parlare bene da qualche parte e ho dato un'occhiata a un paio di frasi, sinceramente non ne ero del tutto convinta; però aveva una splendida copertina e ho ceduto all'impulso.
Non me ne sono pentita, O'Carroll sa raccontare storie e Agnes e Marion sono meravigliose: una lettura da un pomeriggio, attorniati dalla Dublino degli ultimi anni sessanta, dalla musica di Cliff Richard, da vite fatte quasi di niente ma piene di vita.
Non è un libro comico, come riportano ovunque, ma si sorride, e la fine è davvero un bellissimo sogno.