sabato 12 ottobre 2013

I.J. Singer - La famiglia Karnowski

Era tanto che lo avevo visto in libreria, ma il nome Singer mi intimoriva un po'.
Forse.
Anche se in realtà non ho capito subito che non si trattava di Isaac ma di suo fratello Israel.
Poi è arrivata una delle mie pause pranzo sottoforma di fuga dal delirio lavorativo e, complici molte recensioni entusiaste e il solito fascino delle edizioni Adelphi, l'ho preso e portato via.
Una scelta delle più felici.
Sono pagine bellissime che coprono una cinquantina d'anni, penetrando in uno dei periodi più bui della storia attraverso tre generazioni della famiglia Karnowski, di David che lascia la natia, arretrata Polonia per la moderna e erudita Berlino assieme alla moglie Lea, che rimpiangerà invece per sempre la vita semplice di Melnitz, del loro figlio Georg che, dopo un'adolescenza ribelle concretizzerà il "sii ebreo in casa e uomo nel mondo" del padre divenendo un medico stimato e sposando un'infermiera non ebrea, e del loro nipote Jerog che in questa "dualità" si lacererà nel tentativo di negare la sua discendenza ebrea.
E attorno alla famiglia Karnowski ruota tutta la comunità ebraica di Berlino dei primi anni del novecento, i giorni frenetici, le tradizioni e i riti, le rivalità, l'illusione dell'integrazione, la tragedia della prima guerra mondiale, la colpa, le umiliazioni e l'incredulità, l'esodo verso l'America e il rimpianto per la vita di "laggiù".
Una vita  da cui emergono figure mirabili come il vecchio erudito reb Efraim nella sua soffitta piena di vecchi libri polverosi mangiucchiati dai topi, il dottor Landau che svolge la sua professione di medico usando come parcella un piattino su un tavolo nell'ingresso e sua figlia Elsa, indomita e fiera che si erge sulla sua stessa storia, non esitando a buttarsi nella mischia della politica, e Solomon Burak, dal geniale fiuto per gli affari, che accoglie sotto la sua protezione e in casa sua chiunque abbia bisogno e non esita a ricominciare, quando si ritrova in America senza niente, quasi fosse un dovere verso gli altri, dalla sua povera valigia di venditore ambulante.
E' un libro vivido e potente, mai noioso, carico di presagi, "chiaroveggente" come riportato nell'aletta (quanto sono belle le alette dell'Adelphi? E mai firmate...) e considerando che è stato pubblicato nel 1943.
Un libro che ho chiuso con un sospiro, grata per aver avuto l'opportunità di leggerlo.

2 commenti:

  1. Ogni volta che lo vedo in libreria mi chiama, per svariati motivi. Sono proprio contenta che sia piaciuto anche a te e non vedo l'ora di leggerlo anche io :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. fammi sapere. E' un libro che davvero merita. Adelphi a volte queste così splendide idee...

      Elimina