Ho il vizio, che alimento con tenacia, di tenere da parte una lista di
libri, sparsi qua e là sugli scaffali della biblioteca di quartiere, da cui attingere
in caso di voglia improvvisa di rassicurazioni. E Oliver Sacks lo si ritrova intatto in ogni suo scritto: lo stesso
sguardo del neurologo competente e consapevole e quello entusiasta e
pieno di meraviglia che si concede arrendevole alla semplice
osservazione per lasciar parlare la genialità spesso incompresa sotto la
coltre oppressiva dei luoghi comuni.
Non serve molto: basta godersi la scrittura chiara e priva di faziosi
orpelli trotterellando con lui (immaginatelo mentre si accarezza
la barba grigia godendosi allegro le sue Fisherman's friends) dietro il Dr.
Bennett, medico chirurgo che spiega la necessità, dopo giornate passate a
combatterla, di arrendersi alla sindrome di Tourette, che lo rende
quello che è; alla D.ssa Grandin, che studia con curiosità il suo stesso
autismo e che con la stessa curiosità cerca di capire e di provare quei
sentimenti e quelle emozioni che si danno spesso per scontati, e non lo
sono; a Virgil che non è riuscito a fare i conti con il regredire della
sua cecità; a tutti i pazienti che durante i sette racconti del libro
ci raccontano quell'ovvio su cui a volte (spesso) si soprassiede per
pigrizia (spero).